“ITINERARI MUA”: Tra paesaggio e interessi botanici dei comuni Umbri e Toscani.

Questo insolito itinerario prende avvio dal centro storico di Città di Castello dove la Pinacoteca comunale in Palazzo Vitelli alla Cannoniera conserva un suggestivo esempio di giardino all’italiana, con siepi di bosso che formano aiuole regolari, a ricordare quello che un tempo era chiamato il ‘Palazzo del giardino’. Il percorso prosegue verso un altro giardino legato alla famiglia Vitelli, quello del Palazzo di Sant’Egidio, un tempo animato da fontane con giochi d’acqua, piante da frutto rare e animali.


Da qui si giunge alla Collezione Tessile “Tela Umbra” che, nella sezione dedicata alle scuole di Montesca e Rovigliano, illustra gli interessi di Alice e Leopoldo Franchetti per la botanica e la trasmissione ai più piccoli delle conoscenze legate all’agricoltura.

Dalla “Tela Umbra” non si può non procedere per Villa Montesca, che sorge poco sopra Città di Castello lungo la strada che conduce al Monte Santa Maria Tiberina. La biblioteca della Villa conserva molti dei testi di botanica della raccolta dei Baroni, mentre nel parco è possibile ammirare le numerose specie arboree fatte appositamente giungere dai Franchetti da ogni parte del mondo.


Sempre a Città di Castello si visita il Centro delle Tradizioni Popolari di Garavelle dove gli oggetti raccontano la vita nelle campagne e i tipi principali di coltivazione. Il centro fu fondato da Livio Dalla Ragione a cui è legata un’altra importantissima impresa per l’Alta Valle del Tevere: la Fondazione Archeologia Arborea a San Lorenzo di Lerchi che, nata oltre trent’anni fa dalla passione di Livio, continua ancora oggi la sua attività grazie alla competenza e alla tenacia della figlia Isabella. La Fondazione ha lo scopo di recuperare le antiche piante da frutto presenti fin dall’antichità in Alta Valle del Tevere. Nel tempo è stato realizzato un frutteto-collezione composto da circa 500 esemplari di diverse specie in 150 diverse varietà in cui le piante, coltivate con i sistemi tradizionali, sono inserite in un contesto che recupera e restituisce l’armonia e le suggestioni di un paesaggio agricolo di antica sapienza.

Spostandoci verso San Giustino, il giardino del Castello Bufalini è quello realizzato nel Settecento dall’architetto e pittore Giovanni Ventura Borghesi: un magnifico giardino all’italiana pieno di fiori, di frutta e di vegetali, irrigato da un complesso impianto idrico con peschiere, fontane, giochi d’acqua, realizzati da fontanieri fiorentini, con spazi tipologicamente caratterizzati come il voltabotte in alloro e viburno per le passeggiate, il roseto con rose profumate derivanti da antiche varietà, il giardino segreto, la limonaia ed il labirinto. Un camminamento dal Castello consentiva di raggiungere il Parco Roccolo, un grande parco di conifere e querce nato per lo svago privato dei Bufalini e ceduto al comune negli anni Ottanta.

Tornati indietro, in direzione Celalba si giunge a Villa Graziani, con il suo suggestivo giardino all’italiana che scende verso valle, il roseto e il grande parco di lecci. Dalla loggia della Villa, è poi impossibile non pensare alle parole di Plinio e alla sua descrizione dell’Ata Valle del Tevere: “immagina un anfiteatro immenso e quale soltanto la natura può crearlo”.

“SEMPRE IN VIAGGIO AL MARE” – Teatro degli Illuminati (Città di Castello) 10/01/2025 ore 21.

Cultura e Solidarietà: ‘Sempre in viaggio sul mare’ al Teatro degli Illuminati.

Tre come gli anni di vita del progetto “Coming back to life” e 30 come gli anni appena compiuti da “Novecento”, opera letteraria partorita dalla penna dello scrittore Alessandro Baricco. Mai come in questo caso la cabala si è prestata per dare luce allo spettacolo “Sempre in viaggio sul mare” che andrà in scena Venerdi 10 gennaio alle ore 21 nella suggestiva cornice del Teatro degli Illuminati. La storia del leggendario pianista sull’oceano viene rivisitata in una chiave attuale e metaforica congiungendosi in profondità alla mission di “Coming Back to life” ovvero quella di sostenere e raccogliere fondi a favore dei piccoli pazienti dell’ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma.

I coniugi Riccardo ed Elena Bigotti, portavoce di tanti papà e mamme, rinnovano anche per il 2025 il loro invito a partecipare a tutta la comunità tifernate con un piccolo gesto dal valore immenso. A guidare il pubblico sopra le acque simboliche dell’oceano della vita ci sarà la voce recitante di Giorgio Borghetti, uno dei capisaldi del doppiaggio del cinema italiano ed interprete di numerosi ruoli fra teatro e televisione, accompagnato dalle sonorità dell’Atlantic Band.

La rappresentazione, reinterpretata in chiave moderna, si propone di sensibilizzare il pubblico sui temi della vita e della resilienza, allineandosi perfettamente con l’obiettivo di raccogliere fondi per il reparto pediatrico dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, che si occupa di piccoli pazienti in difficoltà. Riccardo ed Elena Bigotti, i promotori del progetto, hanno nuovamente invitato la comunità di Città di Castello a partecipare, sottolineando l’importanza di ogni piccolo contributo per sostenere cause significative.

A condurre il pubblico in questo viaggio simbolico sarà la voce di Giorgio Borghetti, attore e doppiatore di fama, il quale, con la sua narrazione, guiderà gli spettatori attraverso le onde dell’emozione e della memoria. L’Atlantic Band accompagnerà Borghetti con le proprie sonorità, creando un’atmosfera evocativa che arricchirà ulteriormente l’esperienza teatrale.

La serata promette di essere un momento di forte coinvolgimento emotivo, dove il pubblico avrà l’opportunità di riflettere sulle storie di vita rappresentate, mentre si unisce per sostenere una causa nobile. L’evento è un chiaro esempio di come la cultura possa servire come strumento di cambiamento e di sostegno, creando una rete di solidarietà attorno a temi di grande rilevanza sociale.

Il biglietto unico d’ingresso è di 15 euro.

“Cultura e solidarietà vanno a braccetto spesso nella nostra comunità ed il comune come in questo caso le sostiene sempre nell’ottica di valorizzare i progetti artistico-culturali e lanciare messaggi concreti di vicinanza a persone ed associazioni che ne hanno fatto una mission”, ha dichiarato l’assessore alla Cultura, Michela Botteghi.

“STORIE DI LIBRI, LIBERAZIONE E LIBERTÀ ” – Mostra Biblioteca Carducci (Città di Castello) 12 Gennaio – 12 Febbraio 2025

Il primo appuntamento sarà una mostra documentaria, che verrà inaugurata DOMENICA 12 GENNAIO 2025, ore 17:00 presso la sala E. Pirazzoli della Biblioteca comunale Carducci e che raccoglie le opere a stampa (in fascicoli e in volume), un quaderno in cui furono appuntate le barzellette, le matrici linoleumgrafiche delle illustrazioni, materiale relativo alla figura di Attilio Momigliano. La mostra resterà visitabile FINO al 12 FEBBRAIO negli orari di apertura della biblioteca.

“La liberazione dal nazi-fascismo è passata anche attraverso i libri. A Città di Castello è passata attraverso due pubblicazioni che, con la voglia di “riderci sopra”, hanno decretato la fine di quella paura e reverenza forzata al regime, che obbligava anche gli editori (come tutti) all’autocensura e, se non proprio all’omologazione al credo mussoliniano, all’astensione dalla critica aperta.”

Nel mezzanino sopra la libreria Paci di Città di Castello, piccolo luogo in cui continuò imperterrito lo scambio di idee e opinioni, il libraio editore Giuseppe Paci, l’Avvocato Rodolfo Palazzeschi e altri amici frequentatori ostinati del libero pensiero raccolsero in fogli e quaderni – segretamente, si può dire clandestinamente – materiale satirico sul duce e il regime: barzellette, storielle, canzoni… che poi confluirono nella pubblicazione, subito dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, de “IL BARZELLETTIERE, RACCOLTA COMPLETA DI BARZELLETTE DELL’ERA FASCISTA” e de “LA ROMANTICA AVVENTURA DEL PELATO”.

INAUGURAZIONE : 12 Gennaio 2025 – ore 17.00 (Sala E, Pirazzoli). La mostra continua fino a Mercoledì 12 Febbraio 2025

DOVE : Biblioteca Carducci – Città di Castello

“ITINERARI MUA” – Museo Diocesano Città di Castello. Il principale Museo Sacro della Città.

Il Museo diocesano nasce nel 1940 per volontà del Vescovo Filippo Maria Cipriani in seguito al rinvenimento del “Tesoro di Canoscio” (VI secolo d.C.), presso l’omonimo santuario a Trestina di Città di Castello. Lo spazio museale fu allestito presso la sacrestia della Basilica Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio in soli due locali; successivamente ampliato nel 1991 in sale attigue e più antiche del Trecento e Quattrocento. L’attuale sede, all’interno dell’antica Canonica, risale all’anno 2000.


Tesoro di Canoscio VI secolo dopo cristo

Fu casualmente ritrovato nella primavera del 1935 a Canoscio, nella zona sud di Città di Castello. Era disposto a mucchio, coperto da un grande piatto che venne ridotto in frantumi dal colpo del vomere al momento della scoperta. Raro esempio di Arte Paleocristiana, è costituito da 25 oggetti tra piatti, patene, calici, una pisside con coperchio, colatoi, un piccolo ramaiolo e un buon numero di cucchiai. I nomi di Aelianus et Felicitas, incisi sulla patena, potrebbero essere quelli dei donatori. Recenti studi hanno individuato due pezzi gemelli (un piatto e un cucchiaio) conservati al Bode Museum di Berlino ed altri pezzi forse facenti parte del corredo liturgico tifernate conservati sempre in Germania.

Paliotto XII secolo

Secondo la tradizione fu donato nel 1142 da Papa Celestino II (1143-1144), originario di Città di Castello, della famiglia Guelfucci, Canonico della Cattedrale dal 1114, alla Basilica Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio. È decorato al centro dalla figura di Cristo benedicente, assiso su un trono e circondato dai simboli degli Evangelisti. Ai lati, suddivisi in scomparti, sono rappresentati gli episodi dell’Annunciazione, Visitazione e Natività; Adorazione dei Magi e Presentazione di Gesù al Tempio; Fuga in Egitto e Tradimento nell’Orto del Getzemani; Crocifissione. Accanto a quest’ultima scena si dispongono tre figure, tradizionalmente identificate nei santi tifernati Donnino, Florido e Amanzio. Fu Pietro Toesca, uno dei maggiori esperti di Arte Medievale, a darne una definizione stilistica più precisa, individuando un linguaggio più affine alla scultura lombarda.

Goro di Gregorio, Riccio di Pastorale, prima metà del XIV secolo

In argento sbalzato, cesellato, bulinato e parzialmente dorato, è costituito da un bastone ottagonale ornato da file sovrapposte di finestre bifore. Al termine di queste fuoriesce una piccola edicola, ai cui lati si affacciano una serie di santi realizzati a smalto e lavorati a traslucido. Il riccio è sostenuto da un angelo ad ali spiegate sopra una mensola. All’interno della voluta, un piedistallo orizzontale sostiene le statuine della Vergine con il Bambino e il Vescovo Florido inginocchiato. L’opera è attribuita a Goro di Gregorio, orafo e scultore senese, che nella più documentata produzione in marmo traspose la stessa raffinatezza dei lavori di oreficeria. In un rogito di Ser Angelo di Domenico si apprende che il Pastorale apparteneva al Vescovo Sirobaldi da Perugia (1424-1441)

Pergamena dell’imperatore Federico BarbaRossa (1163)

L’occupazione di Città di Castello da parte dell’Imperatore germanico Federico Barbarossa è testimoniata da due atti emanati il 6 novembre 1163. Con essi egli poneva sotto la sua protezione il vescovo scismatico Corbello e i canonici della Cattedrale, che venivano reintegrati del possesso dei beni alienati dai predecessori. L’atto qui riprodotto fu emanato a favore di coloro che allora abitavano la Canonica, edificio adiacente alla Cattedrale, e specifica i beni che questa possedeva in Castellana Civitate.

Scuola di Giuliano da San Gallo. Cristo Deposto seconda metà del XV secolo

Attribuita alla scuola di uno dei più importanti architetti del Quattrocento, la scultura debitamente restaurata, ha recuperato la sua originaria policromia. È dotata di braccia mobili che permettevano di atteggiarla sia come Cristo Crocifisso che come Deposto. Questo tipo di Crocifissi erano infatti utilizzati nelle Sacre Rappresentazioni che si svolgevano durante la Settimana Santa. Dai caratteri fortemente realistici questi simulacri spesso affiancavano veri e propri attori.

Bernardo di Betto, detto il Pintoricchio, Madonna con il bambino e San Giovannino, 1486  

Al centro della scena è la figura del Bambino, in piedi sulle ginocchia di Maria, raffigurata come madre e mediatrice nell’atto di sorreggergli la mano benedicente. Il Bambino è a sua volta indicato come il Messia da San Giovanni Battista, che sostiene la scritta Ecce Agnus Dei, ovvero il predetto secondo quelle Sacre Scritture il cui libro stringe al petto. La piccola tempera si contraddistingue per la sua minuzia ornamentale e il brio narrativo e rispecchia l’istinto e la naturale propensione dell’artista a mettere in evidenza il dettaglio. Una rivalutazione dunque del Pinturicchio sostenuta anche dello stesso Cesare Brandi, rispetto alla critica vasariana, che lo vedeva come un decoratore a metraggio, senza arte e senza scienza.

Giovanni Battista di Jacopo di Gaspare detto Rosso Fiorentino, Cristo risolto in gloria 1528 – 1530

Nel 1528 la Compagnia del Corpus Domini commissionava all’artista una tavola che rappresentasse il Cristo Risorto in Gloria con la Vergine e le sante Anna, Maria Maddalena e Maria Egiziaca e, in basso, “più e diverse figure che […] rappresentino el populo”. La mancanza di un’indicazione specifica di come dovesse essere rappresentato il popolo offrì invece al pittore la libertà di scegliere le figure in modo del tutto originale. Rosso Fiorentino, scolaro di Andrea del Sarto e su influenza del Pontormo e di Michelangelo realizzò questa tavola in modo geniale e bizzarro, tanto che essa risulta una delle sue opere più significative tra le ultime che dipinse prima di recarsi in Francia alla Corte di Francesco I di Valois (1494-1547). L’originalità della scelta, in perfetta rispondenza con il messaggio evangelico, riflette pienamente l’autonomia dell’artista, tra i più famosi esponenti di quel Manierismo destinato ad innovare profondamente e in modo rivoluzionario, i codificati schemi pittorici del Rinascimento.


Campanile cilindrico e Basilica Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio

Fu San Florido, Vescovo e protettore cittadino, che nel VI secolo animò la ricostruzione della città distrutta dai Goti e promosse l’edificazione di una vera e propria Cattedrale sopra le rovine del vetusto tempio della Felicità, fatto erigere, secondo la tradizione, dallo scrittore Plinio il Giovane. L’edificio, che Florido non vide compiuto, è documentato dal 609 al 1032. In quest’anno il Vescovo Pietro consacrò una nuova Cattedrale dedicata ai Patroni Florido e Amanzio, i cui corpi, trasportati insieme a quelli di altri martiri da Pieve dei Saddi, nell’attuale Comune di Pietralunga, furono racchiusi in un’urna collocata nella Cripta sottostante. Nei secoli, il desiderio di avere una chiesa Cattedrale degna della città e in nulla inferiore ad altri edifici religiosi della regione indusse i tifernati a continue opere di miglioramento.

Nella sua forma attuale, l’edificio sacro è frutto di una radicale ristrutturazione compiuta in seguito al terremoto del 1458 ed economicamente sostenuta dalla comunità cittadina.. Anche dopo il terremoto del 1789 la Cattedrale fu ricostruita e abbellita.

Dell’edificio romanico rimane anche il Campanile cilindrico, d’influsso bizantino ravennate. Alcune ricerche condotte dallo studioso Mario Salmi riscontrano metodi costruttivi che  in “tempo romanico”  giungono dall’aretino ed  individuabili in un movimento che faceva capo all’architetto Maginardo.I materiali esterni ne indicano le diverse fasi costruttive: la parte inferiore, dell’XI-XII secolo, è realizzata con piccoli conci di pietra, mentre quella superiore, del XIII secolo, è in arenaria e caratterizzata da un doppio ordine di aperture.

La struttura, alta 43,50 metri con un diametro medio di 7 metri, termina con un coronamento a cono che ospita la cella campanaria dotata di tre campane. Isolato rispetto all’edificio della Cattedrale, il Campanile è nel tempo divenuto uno dei simboli architettonici di Città di Castello e regolarmetne visitabile dal 2009 dopo ingenti lavori di ristrutturazione e consolidamento sismisco.


PRENOTAZIONI

Telefono : 075 855 4705

Info e orari : Lunedì (Chiuso); da Martedì a Domenica (10-18)

 

 

“ITINERARI DI MUA” – “Tipografia PLINIANA” – San Giustino

La tipografia fu fondata nel 1913 in località Selci-Lama, tra Città di Castello e San Giustino, per iniziativa di due sacerdoti don Ruggero Fiordelli (parroco di Selci) e don Enrico Giovagnoli, direttore della Tipografia Leonardo da Vinci di in Città di Castello e legato a don Ruggero da una profonda stima ed amicizia.

Il suo primo nome fu Società Anonima Cooperativa Tipografica Pliniana, un evidente richiamo alla figura dello storico e magistrato romano Plinio il Giovane che possedeva una villa nei pressi di San Giustino, i cui resti sono ancora visibili presso gli scavi di colle Plinio e il museo di Villa Graziani.

Nata inizialmente come succursale della Leonardo di Città di Castello, la Pliniana fu poi denominata Società Anonima Tipografica Pliniana e, infine, nel 1943 Stabilimento Tipografico Pliniana. […]

La tipografia è ospitata nei locali un tempo occupati dalla limonaia di Villa Croci, residenza che sorge a pochi metri di distanza.

Caratteristica molto interessante è come, nonostante nel tempo l’attività dello stabilimento tipografico sia proseguita, aggiornandosi in linea con la moderna tecnica a stampa, la Pliniana non si è mai disfatta dei macchinari in uso un tempo e, anzi, li ha conservati ed esposti nel locale destinato ad ospitare il museo. Una volta entrati nel museo, l’odore degli inchiostri, il rumore dei macchinari e le gigantografie alle pareti sembrano rievocare la memoria del passato.

I vecchi macchinari sono rimasti lì al loro posto, come se tutto si fosse fermato agli anni Novanta del secolo scorso, quando la tipografia ha interrotto la produzione a piombo per passare a sistemi di stampa più moderni e all’avanguardia.

Tra le vecchie macchine tipografiche un posto di rilievo è riservato a due macchinari, ancora perfettamente funzionanti, che insieme alle capacità dei tipografi hanno fatto la storia della tipografia: una tastiera Monotype, una fonditrice monotype del 1955 di fabbricazione inglese, una Linotype fabbricata a Milano dalle officine Meta, con relativo corredo di matrici e strumenti di precisione per la misurazione dei caratteri.

Tra le altre macchine presenti possiamo individuare anche una macchina da stampa tipografica Mussano & Sisto, una perforatrice con cui si allestivano i bollettini postali, un tagliafili di ottone e un tirabozze, la macchina da stampa piano-cilindrica “Super Unigraf” e la piegatrice Leonis.

Inoltre, grazie alla disponibilità dei fotocompositori, ormai in pensione, è possibile prenotare una visita speciale per osservare queste macchine riprendere vita e ascoltare il racconto di chi ha lavorato in un’antica tipografia umbra.


Indirizzo: Viale Francesco Nardi, 12, 06016 Selci Lama PG

Telefono: 075 858 2115

Lunedì (10.00-12.30/15.00-17.00)
Martedì (10.00-12.30/15.00-17.00)
Mercoledì (10.00-12.30/15.00-17.00)
Giovedì (10.00-12.30/15.00-17.00)
Venerdì (10.00-12.30/15.00-17.00)
Sabato – aperto su prenotazione
Domenica – aperto su prenotazione
Biglietti

Adulti € 5,00 (comprensivo di visita guidata)

Bambini/ragazzi fino a 18 anni ridotto € 3,00 (comprensivo di visita guidata)

Gratuito sotto 6 anni

“ITINERARI MUA” con la “ROCCA D’ARIES” – Montone (PG)

La rocca d’Aries, nei pressi di Montone, ha origini molto antiche, fu eretta dalla famiglia Fortebracci sui resti di un antico fortilizio a difesa della primitiva popolazione. La rocca ha subito nel tempo le vicende storiche di Montone, assumendo nei secoli una funzione difensiva e residenziale, ma dal Cinquecento si è resa indipendente dalla cittadina umbra. A pianta rettangolare, con torre circolare su un lato, ha subito diversi interventi per essere adattata a scopi abitativi, nonostante mantenga ancora intatta la massiccia struttura fortificata.

Già dall’anno mille se ne hanno notizie, ma è dal 1376 che la rocca comincia ad intrecciare la sua storia con la famiglia Fortebracci. In quell’anno Oddo III, padre del famoso Braccio, la conquistò, riportandola sotto l’egemonia della vicina Città di Castello. Dopo pochi anni i magistrati perugini, ripresane la proprietà, decisero di far diventare rocca d’Aries molto più massiccia per renderla inespugnabile, affidando la direzione dei lavori, viste le sue grandi capacità, a Oddo III Fortebracci. Nel 1380 la struttura era terminata, e negli anni successivi fu sempre contesa tra Perugia e Città di Castello, perché considerata difficilmente attaccabile.


Nel XV secolo diventò possedimento di Braccio Fortebracci, che nel frattempo divenne signore assoluto di gran parte dell’Umbria. Vi soggiornava spesso la sua famiglia, in particolare la moglie Nicola Varano. Nel Cinquecento la proprietà della rocca passò alla famiglia Bentivoglio, e le notizie successive sono del 1596, anno in cui la fortezza fu attaccata da seicento banditi che, in quel periodo, scorrazzavano per tutto il territorio eugubino, creando una serie infinita di danni. Intanto cambiarono anche i proprietari della rocca, dai Bentivoglio era stata venduta per 15.000 scudi romani al conte Giambattista Cantalmaggi e da questo, per diritti ereditari, passò alla famiglia Della Porta. Negli anni ottanta del Novecento apparteneva ancora a questa famiglia quando fu comprata.

www.umbriatourism.it

Bibliografia
Amoni D. (1999), Castelli fortezze e rocche dell’Umbria, Perugia, Quattroemme.

Presentazione del libro “FINIS TERRAE” – Biblioteca Comunale – 21 Dicembre ore 16.30.

Presentazione del libro “FINIS TERRAE” di Anna Maria Pacciarini.
Si terrà l’incontro con l’autrice presso la Biblioteca Comunale di Città di Castello (Via 11 Settembre. 18) in data 21 Dicembre. Con letture di Alessandro Chieli e musiche di Francesco Rosi alle ore 16.30.

L’incontro à gratuito e per avere informazioni : https://www.comune.cittadicastello.pg.it/pagina846_biblioteca.html

“ITINERARI DI MUA” – “Castello Burbon” – Monte Santa Maria Tiberina. “Un Museo – migliaia anni di storia.”

MONTE SANTA MARIA IN TIBERINA – Palazzo Museo Bourbon del Monte

  • Proseguendo verso Uppiano si passa una località detta Dogana, evidente richiamo ad un antico confine, e si giunge a Monte Santa Maria Tiberina, dove è possibile visitare il Palazzo Museo Bourbon del Monte dove è possibile vedere tracce di strade d’epoca romana e dove sono esposti all’interno del Palazzo Museo Bourbon del Monte reperti che vanno dalla preistoria al periodo longobardo. “Quando Monte Santa Maria Tiberina assunse la fisionomia di una fortificazione, più precisamente un castrum, posto sul confine del territorio longobardo con il corridoio bizantino.”
  • Palazzo Museo Bourbon del Monte è uno degli edifici che più caratterizzano, anche visivamente, Monte Santa Maria Tiberina. Il suggestivo borgo murato, sviluppatosi intorno all’alta torre, domina a 360° il territorio e la sottostante Valle del Tevere da una altezza di 690 metri. In origine fù un semplice fortino con annessa torre d’avvistamento (XI sec.), il castello originario fu distrutto nel 1198 per volere di papa Innocenzo III e tempestivamente riedificato. Nel 1250 divenne la roccaforte di Guido di Montemigiano, primo dei cosiddetti Marchesi del Monte Santa Maria, e nel corso del tempo fu più volte modificato ed ampliato, raggiungendo la sua massima espansione nel XVI secolo, con i lavori promossi dal marchese Giovan Battista Bourbon del Monte. Inaugurato nel 2011 il palazzo ospita convegni, mostre ed esposizioni d’arte.

Modalità di visita: l’apertura regolare è prevista per i mesi estivi (vedi info su sezione del sito MUA)

info@montesantamariatiberina.org o telefonando allo 075 8571003 – interno 3€

 

“ITINERARI DI MUA” – “CASTELLO BUFALINI” e la storia della famiglia Bufalini.

IL CASTELLO BUFALINI 

Passato di proprietà nel 1487 a Niccolò di Manno Bufalini, vennero intrapresi lavori di ricostruzione su progetto dell’architetto romano Mariano Savelli e su indicazioni di Giovanni e Camillo Vitelli, uomini d’armi ed esperti in architettura militare. Assunse l’aspetto di una fortezza, a pianta quadrata irregolare con quattro torri agli angoli, di cui una di maggiori dimensioni, la torre maestra; un ampio fossato con acqua la circondava.

La storia dell’edificio è legata indissolubilmente a quella della famiglia Bufalini, che vantava personaggi affermatisi in ambito ecclesiastico, letterario e giuridico. A partire dagli anni Trenta del XVI secolo, la fortezza fu trasformata in residenza nobiliare rispondente a precise esigenze artistiche, sociali e culturali, secondo la volontà di Giulio I e del fratello, l’Abate Ventura Bufalini. Benché sia stato l’interno a subire maggiori modifiche, con la creazione di ampie sale distribuite attorno ad un cortile con due lati porticati, risale a quel periodo l’inserimento in facciata del loggiato e l’ingresso monumentale in posizione centrale.

Dall’esterno rimase ben visibile l’originaria struttura militare dell’edificio. Il progetto del palazzo fu opera dell’architetto fiorentino della cerchia dei Sangallo Giovanni di Alesso, detto Nanni Unghero, ma i lavori furono ultimati con l’intervento del Vignola attorno al 1560.

L’edificio nasce come fortilizio militare della famiglia dei Dotti di Sansepolcro. In seguito alla battaglia di Anghiari, nel 1440, divenne un avamposto militare a difesa del territorio di Città di Castello. Nel 1487 fu assegnato a Niccolò di Manno Bufalini, a cui si devono i lavori di ricostruzione che conferirono alla struttura l’aspetto di una fortezza a pianta quadrata irregolare, circondata da un ampio fossato e con quattro torri agli angoli, di cui una di maggiori dimensioni: la torre maestra.

A partire dagli anni Trenta del Cinquecento, il fortilizio fu trasformato in residenza nobiliare da Giulio I Bufalini e dal fratello, l’abate Ventura. Risale a quel periodo l’inserimento in facciata del loggiato e l’ingresso monumentale in posizione centrale. Il progetto del palazzo fu opera dell’architetto fiorentino Giovanni di Alesso, detto Nanni Unghero e i lavori furono ultimati attorno al 1560. Durante l’ultimo decennio del Seicento e i primi anni del Settecento, il palazzo divenne un’amena villa di campagna, secondo il progetto dell’architetto-pittore tifernate Giovanni Ventura Borghesi.

Dalla fine del Seicento o il palazzo fu ristrutturato dall’architetto-pittore tifernate Giovanni Ventura Borghesi come amena villa di campagna con “giardino all’italiana”. L’edificio si arricchì nel Settecento di pregevoli opere d’arte, tra le quali stucchi, cicli pittorici su affresco e tela, volti anche a celebrare i Bufalini divenuti marchesi.

Nel luglio del 1989 Castello Bufalini è stato acquisito dal demanio dello Stato e costituisce ad oggi un raro esempio di dimora storica signorile pressoché integra, che conserva gran parte del suo arredo storico.


Percorso Turistico di Palazzo Bufalini

Nel percorso di visita si possono ammirare: il panoramico Loggiato; le splendide sale dipinte da Cristofano Gherardi nella prima metà del Cinquecento; i saloni con il mobilio, la tappezzeria, i quadri, le vetrine che custodiscono i preziosi servizi da tavola in maiolica e la cristalleria. Fra le altre spiccano la Stanza degli Stucchi con le immagini delle “donne forti” e la Camera del Cardinale Giovanni Ottavio Bufalini, con la bellissima culla. Il parco è un tipico esempio di giardino all’italiana con il roseto, la galleria vegetale detta voltabotte, la “ragnaia”, le fontane, il frutteto, il cosiddetto “giardino segreto” ed il labirinto.

Il Castello Bufalini emerge nell’abitato di San Giustino (Perugia) ed è un ammirevole esempio di dimora storica signorile. Adibito a museo, dopo l’acquisizione da parte dello Stato nel 1988, è circondato da un elegante giardino all’italiana con rari esemplari di rose. La struttura nasce come fortezza privata di una famiglia ghibellina di San Sepolcro e dopo la battaglia di Anghiari (1440) diventa avamposto militare di Città di Castello, ben presto distrutto per ordine della Repubblica fiorentina.

Con l’arrivo della bella stagione, i visitatori del Castello Bufalini, raro esempio di dimora storica signorile pressoché integra anche negli arredi, che sorge a San Giustino in provincia di Perugia, troveranno una grande sorpresa.


IL Labirinto del Castello – La meta turistica del Castello

“Da domenica 21 aprile 2024, per la prima volta, il labirinto, posto all’interno di uno tra i più grandi e importanti giardini formali all’italiana dell’Umbria – circa 13.000 mq -, sarà aperto al pubblico fino a ottobre, ogni terza domenica del mese, solo su prenotazione (T. 075.856115; E. drm-umb.castellobufalini@cultura.gov.it) per gruppi di massimo 10 persone, con turni alle ore 11.00 e alle ore 17.00.” “Il labirinto non è soltanto un’opera botanica eccezionale, ma un’idea esoterica che si trasforma in esperienza – afferma Costantino D’Orazio, Direttore dei Musei Nazionali di Perugia-Direzione regionale Musei Umbria – Per questo la riapertura del labirinto al Castello Bufalini arricchisce il fascino di un luogo che nei prossimi anni riserverà al pubblico molte sorprese”.

“L’apertura al pubblico di uno dei labirinti di siepi più interessanti del panorama italiano – dichiara Veruska Picchiarelli, Direttrice di Castello Bufalini -, s’inserisce in un processo di recupero e rivalutazione di altre aree, interne ed esterne, dell’intero complesso, che porterà a partire dai prossimi mesi a raddoppiare e a riqualificare tota

lmente il percorso di visita”. Il Castello, afferente al MiC, Direzione Regionale Musei Umbria, è nato come fortilizio militare del Comune di Città di Castello a difesa dei confini dello Stato Pontificio ed è stato trasformato a metà del Cinquecento dalla famiglia Bufalini in villa di delizie che si affaccia sul paesaggio dell’Appennino.

Tra la fine del Seicento e i primi del Settecento, il suo parco venne organizzato in sette aree principali collegate tra loro e racchiuse da percorsi perimetrali posti a margine del fossato e del muro di cinta. Una di queste era occupata proprio dal labirinto creato per lo svago dei signori e formato da alte siepi di bosso. Il tracciato, che misura all’incirca 670 mq, è di forma trapezoidale con tre centri distinti, con un unico accesso, ai cui lati il 4 novembre 1694 furono piantati due cipressi, ancora viventi, che sono tra gli alberi più antichi del giardino.

Nell’archivio del castello si trovano alcuni disegni relativi alla sua progettazione e realizzazione, in particolare una planimetria databile al 1706, la Pianta del palazzo e giardino della villa di S. Giustino dei sign.ri March.si Bufalini, da cui è possibile vedere come il suo tracciato sia rimasto invariato nei secoli. Ciò fa pensare che almeno in parte le piante di bosso siano quelle interrate nel 1692, rendendo il labirinto di Castello Bufalini uno dei più antichi d’Europa.

Via Largo Crociani, 3 – 06016 San Giustino (PG)
Tel. 075 856115
email: drm-umb.castellobufalini@cultura.gov.it


Direttore: Veruska Picchiarelli

Orario di apertura
Venerdì, sabato e domenica e festivi infrasettimanali dalle ore 9:00 e alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00.
Ingressi a cadenza oraria alle ore 9:00, 10:00, 11:00, 12:00, 15:00, 16:00, 17:00. Visita sempre accompagnata.
Ultimo ingresso consentito mezz’ora prima della chiusura.

Chiuso dal lunedì al giovedì. Apertura esclusivamente su prenotazione per gruppi di almeno 10 persone.

Domenica e prima domenica del mese: sempre aperto con orario ordinario.

Festivi infrasettimanali:
Mercoledì 25 dicembre: chiuso
Giovedì 26 dicembre: aperto con orario ordinario
Lunedì 6 gennaio: aperto con orario ordinario


 

 

“I Freghi della Badia” – Teatro Ore d’oro – Sabato 21 Dicembre ore 21.00.

Titti e Lisina vengono svegliate nel cuore della notte da un rumore sospetto: due ladri si sono introdotti in casa, alla ricerca del denaro destinato alla ristrutturazione del loro appartamento. Ma ciò che inizia come un semplice furto si trasforma presto in un gioco pericoloso, fatto di rivelazioni inaspettate, doppi giochi e alleanze improbabili. Nulla è come sembra, e ognuno lotta per ottenere ciò che desidera… Ma chi avrà davvero la meglio?

✨ L’ingresso è gratuito fino al raggiungimento della capienza del teatro

🎭 A RUBÈ POCO SE VA N’GALERA
📅 21 Dicembre 2024 🕗 Ore 21:00
📍 Teatro Ore d’Oro di Trestina (sotto la chiesa di Trestina)

📢 Ti aspettiamo per vivere insieme questa storia che farà ridere… ma anche riflettere!